Tristi Tropici
Liberamente ispirato a Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss- ideazione, coreografia, scene e luci Virgilio Sieni
- interpretazione e collaborazione Simona Bertozzi, Ramona Caia, Elsa De Fanti, Filippa Tolaro, Michela Minguzzi
- musiche originali Francesco Giomi
- luci Marco Santambrogio
- costumi Lydia Sonderegger
- maschere e elementi scenici Chiara Occhini
- allestimento Francesco Pangaro
Lo spettacolo è liberamente ispirato a Tristes Tropique di Claude Lèvi Strauss.
Virgilio Sieni non mette in scena una trascrizione letterale del testo: in scena due
coppie di donne (le danzatrici Simona Bertozzi, Michela Minguzzi, Ramona Caia,
Elsa De Fanti) e una ragazza non vedente (Filippa Tolaro). Figure che appaiono da
lontano come aloni non definiti, visione opache, figure vicine e dipendenti, coppie
che "si stringono nella nostalgia di un'unità perduta".
Lo spettacolo di sviluppa in tre parti in cui le apparizioni femminili sono individuate
come una presenza "penultima", secondo un percorso tripartito tra vicinanza
animale, tenerezza trasmessa, nostalgia rimasta che alimentano il senso di quello
che l'etnologo definisce "l'opportunità perduta dell'Occidente di restare femmina".
Tristi tropici apre all'agonia e al richiamo abbagliandoci di eterna nostalgia,
lasciandoci intravedere la sedimentazione del rito nel suo divenire gesto tra
animalità e umanità.
Nell'estate 2008 ad Avignone, dopo aver discusso con Giorgio Agamben
di danza, cous cous e inoperosità del corpo, ripresi in mano un suo saggio
sul bricolage dedicato al settantacinquesimo compleanno di Claude Lévi-
Strauss.
Fu li che decisi di lavorare su quegli "straccioni sperduti in fondo alla
loro palude" e come il loro abbrutimento aveva tuttavia preservato certi
aspetti del passato: aspetti riflessi in decorazioni corporali e facciali di
carattere ancestrale e rapporti di parentela tra gerarchie cosmiche e miti.
Corpi e popoli che mostrano un possibile legame con l'inaccessibile
indicandoci un barlume di speranza. E ancora una volta ho sentito un forte
desiderio rivolto alla danza, non tanto come forma metrica, simbolica,
poetica, ma come esperienza dell'inerzia, come esercizio di rianimazione
lungo il processo di disintegrazione dell'uomo.
Non possono esserci racconti ma deiezioni fisicamente fraseggiate dei
racconti sui gruppi dei Tupi-kawahib, Nambikwara, Caduvei, Bororo fatti
da Lévi-Strauss nel suo viaggio intorno agli anni '40 nelle terre del Mato
Grosso (grande Macchia) in Brasile.
Popoli già alla deriva ma ancora vivi dove le "donne nobili" ci richiamano a
quella che Lévi-Strauss definisce l'occasione perduta che era stata offerta
all'Occidente di scegliere la sua missione.
Virgilio Sieni
Produzione 2010
prima assoluta: 10 giugno, La Biennale di Venezia, 7. Festival Internazionale di Danza Contemporanea
La Biennale di Venezia
Spielzeit'europa I Berliner Festspiele
Bitef Theatre Belgrade
- nell'ambito del progetto
- ENPARTS - European Network of Performing Arts
- con il sostegno del
- Programma Cultura della Commissione Europea
- in coproduzione con
- Biennale de la Danse de Lyon
- Teatro Stabile di Napoli
- Compagnia Virgilio Sieni
- La Compagnia è sostenuta da
- Ministero per i Beni e le Attività Culturali- Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo
- Regione Toscana
- Comune di Firenze

